Inventarium: Natura


Bestiario fantastico

Erbario magico

Antologia di anomalie naturali

Bestiario fantastico

Cervo dal Sonno Bianco (Cervus soporus)

Il Cervo dal Sonno Bianco (Cervus soporus) fu la preda di caccia più ambita dai marchesi Del Carretto, signori di Zuccarello. Si avevano notizie sue, ma nessuno era mai riuscito ad avvicinarsi perché l’animale, invece di scappare, emetteva uno straordinario sibilo dalle corna e i cacciatori venivano colti da una strana sonnolenza. Si risvegliavano dopo 12 ore e il grande cervo era già sparito. La creazione, in tempi più recenti, del “rumore bianco”, che oggi accompagna tra le braccia di Morfeo tanti bambini , pare che sia stata un’intuizione di un gruppo di scienziati derivata da questo racconto. A testimonianza di ciò esiste ancora oggi in Liguria, un paese chiamato Cervo.

Vanni Cuoghi, Il Dono del Grande Cervo, 2012, acquerello su carta, 110×75 cm.

Ciniero (Cygnus levrieri)

Le prime testimonianze scritte sull’animale risalgono al trattato De Monstriis Gallicis redatto dall’esperto di Etologia Immaginifica Caius Alphonsus Pontillus, in cui si legge che «[…] in seguito alla riduzione dell’attività di caccia nell’area della Neustria (regione storica nata nel 511, situata fra l’Aquitania e il canale della Manica), un gruppo di randagi levrieri crebbe in stazza e si stanziò in un habitat umido sulle coste del suddetto canale. Qui entrò in contatto con l’esemplare di Cygnus atratus, diretto parente del cigno reale ma da sempre simbolicamente identificato come il suo negativo speculare, a causa del suo piumaggio scuro.
I simili contesti di provenienza e le comuni sorti avverse nel contatto con le civiltà umane rappresentarono terreno fertile per la coesistenza e, in seguito, l’unione delle due specie.
Nasce un animale che conserva l’eleganza d’aspetto tipica di entrambe le razze e ne esalta le caratteristiche di velocità sia sulla terra ferma che in acqua.»

Curiosità
Si racconta che Carlo Caroli, detto Martello dei regni merovingi di Austrasia, di Burgundia e di Neustria possedesse un ciniero che cavalcava in giro per il “suo regno”. Questo fa sorridere considerando le origini di “riscatto sociale” dell’esemplare e il fatto che il re, per quattro anni, esercitò il potere regale pur non avendone il titolo.
Lo troviamo citato anche nel brano Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers di Fabrizio De Andrè: «Il sangue del principe del Moro arrossano il ciniero d’identico color.»

Pietro Schirinzi, Ciniero, 2021, illustrazione digitale, 50×50 cm.

Matuidus tigrelou

Trattasi di felino cicogniforme, abitante delle foreste dei Vosgi, in Francia. Il suo corpo è ricoperto di candide piume che si mescolano con un manto a pelo medio di varie colorazioni biondo-castane. In età adulta può raggiungere i 110 cm di lunghezza, con un’apertura alare che può sfiorare i 220 cm. Si ciba prevalentemente di pesci e piccoli animali che cattura grazie al lungo becco color cremisi sul muso.
È consueto, ogni anno, il suo periodo letargico, sulle montagne del Grand Est francese, durante l’inverno, e la sua migrazione in volo verso le paludi degli affluenti del Reno durante la primavera.

A partire dal XIII sec. d.C. apprendiamo da alcuni testi medioevali che il Matuidus non era all’epoca un animale sconosciuto nei dintorni di Strasburgo: per la sua doppia natura ornito-felina era temuto ma rispettato. Si raccontava che il Matuidus, sbattendo le ali, rigenerasse la fecondità dei campi; tuttavia, chi aveva avuto l’ardore di osservare l’animale da più vicino, non era uscito vivo dal fatale incontro. Secondo un’ottica tipicamente medioevale questo esemplare alsaziano veniva percepito quindi come il simbolo della fertilità, data dalla cicogna, unita alla ferinità, propria invece della lince dei Vosgi.

Hazkj, Matuidus tigrelou, 2020, illustrazione digitale.

Pantherathunnus cristatus

Creatura risultante dalla singolare ibridazione dei seguenti animali: tonno (Thunnus), leone (Panthera leo), gallo (Gallus), pavone (Pavo cristatus).

Abitante anfibio di zone acquitrinose interiori, dal carattere schivo e timoroso, non spicca di particolari doti, arguzia o agilità. Durante il periodo invernale, si nutre principalmente di chiacchiere e buone intenzioni. A primavera, migra verso i caldi lidi dell’Ego in cui, grazie alla sua spavalda coda variopinta, attira a sé le attenzioni necessarie al suo lento metabolismo estivo.

Andrea Olgiati, Pantherathunnus cristatus, 2021, fusaggine su carta.

Stornutus vulgaris

Uccello passeriforme appartenente alla famiglia Stornutidae, originario dell’Eurasia. Lungo circa 20 cm, quando starnutisce raggiunge la lunghezza di 25 cm. Il suo piumaggio è nero lucente ma ad aprile acquisisce riflessi metallici, da cui il cosiddetto piumaprile.
Il becco è aguzzo e giallognolo in estate, moccioso d’inverno.
È un uccello molto gregario, si riunisce in grandi stormi.
Essendo perennemente raffreddato è stato inserito nell’elenco delle cento tra le specie invasive più dannose al mondo. Lo stormo untore è la primaria causa della diffusione di influenza nei periodi invernali.
Sverna al sud, al fine di curare i propri bronchi, per poi migrare nei territori settentrionali ai primi caldi.

Alessio Vaccari, Malato immaginario, 2021, olio su tavola, 40×30 cm.

Erbario magico

Aquabotanica

Il termine latino sta ad indicare l’esito di una ricerca condotta da un anonimo studioso di Botanica, attivo in un’epoca non ancora accertata.
Si narra che lo scienziato viaggiò per tutto il globo terrestre con l’intento di raccogliere e conservare, mantenendoli vivi, esemplari di tutta la flora esistente. La sua ricerca incontrò luoghi e civiltà sconosciute e ne preservò la memoria attraverso un fiore, una foglia o un arbusto, consegnati ai posteri come simbolo del ciclo vitale.

Pablo Mesa Capella, Aqua Botanica, 2019, installazione, Macro – Roma.

TESTA (lat. testa, -ae, s.f., vaso anfora)

Vaso umano.
La leggenda narra che, tra il 1776 e il 1842, visse ed operò in un paesino vicino Parigi, un botanico alchimista italo-francese di nome Lavoix che, al termine dei suoi studi, iniziò ad interessarsi anche di anatomia umana. Approfittando delle frequenti condanne per decapitazione che avvenivano in città, egli ebbe modo di alimentare la sua curiosità morbosa e di sperimentare le sue teorie, assistendo personalmente a tutte le esecuzioni.
Osservando i dettagli, notò in particolare che il decapitato perdeva coscienza del mondo esterno in pochissimi istanti, ma la morte effettiva sopraggiungeva per paralisi dei centri nervosi solo dopo 10 -15 minuti dal troncamento del collo.
Fu così che ebbe un’intuizione: trovare il modo per non disperdere quell’energia vitale residua nel corpo e conservarne l’essenza per sempre, agendo in quella breve frazione di tempo. Grazie a un conoscente che era in buoni rapporti col boia, riuscì a fare i primi esperimenti in un magazzino umido, alle spalle del patibolo: conficcando in profondità, nelle giugulari e nelle carotidi dei decapitati, semi di essenze botaniche di cui era esperto, si accorse che queste, d’improvviso, in quei misteriosi 15 minuti, germogliavano rigogliosamente assorbendo fino all’ultimo la linfa vitale dei trapassati, per poi essiccarsi con la stessa velocità e restare intatte.
L’esperimento continuò per mesi, permettendogli di collezionare un vero e proprio erbario umano, di cui però il botanico Lavoix non documentò mai nulla.

L’unica prova dell’autenticità di questa storia è un recente ritrovamento fotografico analogico, in cui compare, scritto a inchiostro sul retro delle istantanee custodite in pregiate teche da erbario botanico, il nome che egli diede ai suoi esperimenti: “TESTAE”, che in Latino significa vasi, ma che nella vicina Italia, per la pronuncia, ricordava proprio le teste decapitate, grazie a leggende di secoli prima, come quella che ha ispirato l’arte delle Teste di Moro siciliane.
Tuttavia, ancora oggi, nessuno è riuscito a datare e ad attribuire un autore a queste teche, in cui sulle foto dei corpi di Lavoix sono inseriti piccoli rametti essiccati di varie essenze erbacee e floreali, probabilmente prelevati dai cespi originali piantati all’epoca dal botanico. La cosa sorprendente è che, di recente, alcuni visitatori, nelle esposizioni, giurano di aver visto quelle essenze mutare sotto il loro sguardo incredulo.

Oriana Majoli, Testae, 2020, fotografia analogica e frammenti fitomorfi essiccati.

Antologia di anomalie naturali

Iniziazione zoo-metamorfica

Processo di metamorfosi animale di un essere in incubazione, descritto nell’incartamento scientifico dell’illustre studioso di Antropologia zoologica, Dottor Tanisha, scopritore di un rarissimo esemplare di Araba Fenice. Della sensazionale scoperta sono ancora celate numerose informazioni, al fine di preservare il fragile ecosistema del volatile e le millenarie tradizioni che lo custodiscono.

Nelle dichiarazioni rilasciate dal dottore, la riproduzione del raro volatile è protetta all’interno di una comunità ancillare denominata ‘Il Sentiero Perfetto dell’Immortalità’. Le iniziate a questo antico culto, ogni cinquemila anni, si ritirano in un luogo che vogliono tenere segreto e danno inizio all’Operazione di Zoo-Trasmutazione che si sviluppa all’interno della scatola cranica dell’ancella prescelta.

Al primo stadio di sviluppo, la novella araba fenice si presenta come un liscio globo di carne rosata e giovane, in apparenza inerte; dopo un lungo periodo di stasi, impercettibilmente ha inizio la metamorfosi.

Il dottor Tanisha, che ha potuto assistere e registrare l’intero processo, ha descritto nella sua relazione che le pulsazioni dell’essere in incubazione risultano dominate sia da attrazioni lunari che telluriche. La sua struttura pare slegata dal vincolo delle articolazioni e delle relazioni forzate, la sua anatomia sembra fluttuare all’interno dell’essere stesso, ruotando e premendo sull’epidermide come le nocche delle mani, schiarendo la pelle dove la pressione è maggiore.

Al successivo stadio di sviluppo del serico globo di carne, questo comincia ad irradiare una vitalità sconosciuta, un potere di fascinazione magnetica. Il dottore ha dichiarato di aver avvertito, all’interno del sistema nervoso della creatura, la metamorfosi del nuovo essere in gestazione, i cui movimenti gli si sono rivelati come vibrazioni sottili che, opportunamente veicolate, avrebbero potuto provocare spaventose onde anomale o meravigliose albe.

Secondo le rilevazioni dell’esimio studioso, la nuova creatura, man mano che il suo sviluppo sottocutaneo avanzava, sarebbe stata capace di sbloccare perdute memorie ancestrali. Al momento della nascita, la nuova araba Fenice appare perfetta e perfettamente in grado di volare; il dottore assicura che la testa incubatrice dell’ancella non riporta alcun danno ed essa irradia per lungo tempo una luce trasparente, cristallina e pura.

Laura Li (Atelier Arabesque), Lady Phoenix (Golden Age), 2022, collage digitale.

Riproduzione simbiosessuata

La riproduzione simbiosessuata è una particolare forma di riproduzione in uso nella specie Aracnoboletus humboldtii.
Essa avviene quando due specie distinte che si riproducono per partenogenesi, ovvero quel tipo di riproduzione che vede l’esemplare fare una copia identica di se stesso, diventano simbiotiche obbligate, arrivando a condividere anche i processi riproduttivi.
Nel caso dell’Aracnoboletus humboldtii avviene​ una simbiosi tra un aracnide​ ed un fungo.

Nell’illustrazione possiamo osservare il ciclo vitale della specie: da un ovulo fungino si sviluppa sia un embrione femmina di aracnide, sia un’ifa fungina. L’embrione al terzo stadio è già in grado di nutrirsi catturando piccole prede dall’interno dell’ovulo fungino aperto. Gli scarti dei pasti arricchiranno il terreno circostante, aumentando la crescita delle ife. Nello stadio finale la femmina, durante l’uscita dall’ovulo, catturerà le spore dai corpi fruttiferi del miceto. In questo modo la femmina adulta potrà riprodursi nuovamente, deponendo nuovi ovuli fungini che a loro volta svilupperanno nuovi miceti in aree più distanti da quella di origine.​

La simbiosi tra le due specie è ormai così radicata che è stato deciso di rinominarle inserendole in un’unica nomenclatura tassonomica come specie singola. Sebbene il codice genetico delle due specie sia identico a quello di quel progenitore di entrambe che per primo ha dato inizio a questa simbiosi, i nomi scientifici distinti delle due specie sono stati irrimediabilmente persi.​

Andrè Santapaola, Ciclo vitale dell’Aracnoboletus humboldtii, acquerello su carta cotone.

Veganmorfosi
[Crasi di Gr. μεταμόρφωσις (metamorfosi) e “vegano”]

1. In Biologia, il processo di trasformazione di un essere umano da uno stadio carnivoro immaturo in una forma vegana adulta, che avviene in due o più fasi distinte. Questa clamorosa alterazione dell’aspetto fisico, del carattere, della struttura o della sostanza è dovuta ad un implicito veganesimo organico profondo: la mutazione dell’habitus alimentare da carnivoro a vegano comporta un’alterazione evolutiva più o meno brusca della struttura corporea dell’essere umano. Spesso paragonato alla trasformazione del bruco in pupa e della pupa in farfalla, tale metamorfosi può essere praticata anche attraverso la magia, la stregoneria o la tecnologia avanzata.

2. In Patologia, un tipo di alterazione o degenerazione in cui parte dei tessuti umani si trasforma in tessuto vegetale.

3. raro: L’intera trasformazione strutturale e funzionale di un organismo umano in un organismo vegetale, in qualsiasi fase del suo sviluppo.

Stanley Gonczanski, The Veganmorphosis Mechanism , 2021, collage digitale.


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