Inventarium: Scienze


Fisiognomica insurrezionale

Anatomia capricciosa

Psicopatologie eretiche

Alchimia dell’etere contemporaneo

Fisiognomica insurrezionale

Muscoencefalico

Agg. e s. m. e f

1. Affetto da muscoencefalite.

2. Dicesi di sintomo dell’infezione nota col nome di muscoencefalite, contratta a seguito dell’interazione biologica tra un individuo umano ospite e un esemplare femmina dell’insetto parassita Cephalomusca Angustiae, insediatovisi per la deposizione e cova delle proprie uova.

Nel seguente estratto dal trattato Des altérations physionomiques générées par certaines infections di Marguerite DeJoie, naturalista e studiosa di Fisiognomica attiva nei primi decenni del Novecento, troviamo un’accurata descrizione tanto dell’animale quanto delle alterazioni psicofisiche generate dal medesimo insetto sull’uomo vittima del suo parassitaggio:

” […] pare che la Cephalomusca Angustiae fosse già rappresentata su alcune steli sumere, a fianco di caratteri cuneiformi che, con un’onomatopea, la definivano Hrwwerrrwwwr, vale a dire “la Deprimente”; menzionata in alcuni papiri egizi, nell’Antica Roma fu condannata a una sorta di damnatio memoriae poiché si credeva che il solo nominarla potesse attirarne gli esemplari. Il tabù perdurò fino al Settecento e lo stesso Linneo si rifiutò categoricamente di classificare tale insetto poco diffuso ed estremamente subdolo per via del suo aspetto visivamente simile a quello dei comuni ditteri, sebbene dotato di alcune varianti anatomiche, dovute alla presenza di impercettibili organi votati alla generazione di onde sonore.
L’unico paio d’ali, infatti, emette un suono nostalgico che ricorda quello di certi strumenti ad arco; il capo possiede circa un milione di occhi ma nessuno di essi è mai allegro a causa della drammatica melodia involontariamente emessa dalla proboscide. L’eccitazione degli organi riproduttivi, collocati all’esterno dell’addome, si verifica a condizione che vengono fissati intensamente. La femmina può riempirsi fino a un carico di dodicimila uova e il luogo migliore per deporle è di solito il cervello umano, di cui si ciba durante la gestazione, essendo ghiotta prevalentemente di serotonina, dopamina ed endorfine.
Tale forma di parassitaggio genera sempre nell’ospite un senso di disagio, tristezza e inadeguatezza. Quando le larve si schiudono, l’ospite tende a chiudersi in se stesso, comincia a emettere dal naso suoni affini a rantoli e assume uno sguardo fisso e vitreo, che permane anche negli stadi più acuti dell’infezione, in cui avviene la mutazione dei bulbi oculari in veri e propri occhi composti.
L’abbandono dell’ospite da parte del parassita non sempre implica la guarigione dell’uomo da tale cosiddetta muscoencefalite.
In definitiva, la Cephaloptera è un essere tragico, maldestro, che ispira quasi compassione, ed è bene che un entomologo di rispetto non gli dedichi più tempo di quanto meriti.”

Paolo Ferrante, dalla raccolta Tegumenta I , 2020, collage digitale, 21×29 cm.

Anatomia capricciosa

Metanatomia

[dal gr. μετά «oltre» e ἀνατομή «dissezione»]
Branca del sapere che si occupa dello studio di tutti i processi relativi all’accensione della scintilla vitale e al mantenimento della vita nei corpi degli esseri potenzialmente viventi, in relazione al patrimonio anatomico di cui sono dotati.
Si riporta a tal riguardo un’interessante testimonianza – un dialogo tra un orsacchiotto che aveva vissuto (A) e un altro che aveva un corpo e sperava di avere una vita e di muoversi liberamente come gli umani (B) – che, nell’ingenuità della forma, tratteggia la complessità dei processi metanatomici.

A: Questo corpo deve continuare ad assorbire ossigeno, idrogeno, carbonio, ecc. per essere mantenuto. Avere una vita significa accogliere la materia e perpetrarne l’assemblaggio all’interno del corpo stesso. E al contempo, espellere la materia e i liquidi di scarto.
B: Sempre? Dovrò continuare ad assemblare per sempre?
A: No. Non per sempre. Un giorno il processo si fermerà perché la precisione dell’assemblaggio diminuirà gradualmente. La vita ha senso perché implica una fine.
B: Avere una vita è piuttosto difficile, non è vero? D’ora in poi, se penso di potermi muovere liberamente, è probabile che passi la maggior parte del mio tempo ad assemblare. Effettivamente, è incredibile come tutti gli esseri umani abbiano voluto ottenere le loro vite.
A: Agli esseri viventi, inclusi gli umani, la vita non viene data quando lo desiderano. La ricevono indipendentemente dalla loro volontà. Gli esseri viventi, alla fine, completeranno il loro lavoro di assemblaggio individuale ma saranno stati in grado, nel corso della loro vita, di creare le proprie repliche. La riproduzione è un meccanismo per perpetrare la vita, mantenerla per sempre.
B: Per sempre? A me non è concessa la funzione di duplicazione, giusto?
A: Non ancora. Puoi includerla, se lo desideri.
B: No grazie. Questo significa che la mia vita finisce con me, giusto?
A: Sì.
B: Meno male, che sollievo.

Masao Kinoshita, Metanatomy (Mass of Teddy), 2021, terracotta, acrilico, pelliccia sintetica, 22x21x28,5 cm.

Sviorinata

[s.f., crasi tra “sviolinata” – a sua volta der. di “violino” – e “orina”]

1. Incontrollato rilascio di secrezioni renali da parte di uno strumento, generalmente ad arco, come spontanea risposta fisica a un’emozione suscitata da un’esecuzione musicale particolarmente intensa. Essa si ritiene la reale causa per cui molti grandi violinisti concludono i loro concerti con la camicia completamente madida, non di sudore, ma della tacita e liquida approvazione dello strumento stesso, che in tal modo reagisce agli stimoli tattili dell’esecutore. Il modello anatomico in cera nell’immagine illustra il posizionamento e le relazione degli organi e dei vasi sanguigni che contribuiscono al verificarsi di questo fenomeno.

2. Per estensione, sarcastico panegirico adulatorio con sotteso e malcelato intento derisorio nei confronti di qualcuno o qualcosa, in cui l’uso ironico e parodistico di frasi smodatamente lusinghiere pone lo sbeffeggiato al pubblico ludibrio, facendogli così metaforicamente subire le umilianti minzioni degli astanti in una sorta di simbolica e antifrastica gogna.

Domenico V. Venezia, Sviorinata, ovvero, Aria sulla Quarta Aorta dal Trittico Anatomo-Musicale, 2021, cera e filo di ferro con meccanismo idraulico su violino con base in legno.

Psicopatologie eretiche

*ater crocodylias

[Crasi di lat.​ pater familias​ (“padre di famiglia”) e Crocodylia (coccodrilli – ordine di rettili)]

*: carattere tipografico di neutralizzatore del genere grammaticale

Termine riferito a quel genitore (madre o padre) che, noncurante del diritto dei figli all’espressione del proprio consenso in merito, condivide inappropriatamente e compulsivamente immagini o racconti dei figli medesimi tramite canali telematici, ovvero social. Tale tipo genitoriale può preventivamente considerarsi destinato a piangere lacrime di coccodrillo che, come da proverbio multiculturale, altro non sono che fasulle e ironiche.
Spinto da generale disinteresse verso la privacy della propria prole e noncurante del fastidio o del dolore che le azioni compiute possono provocare, l’ *ater crocodylias sembrerebbe portato/a a simili comportamenti da smania di protagonismo ed esibizionismo dettato da un eccessivo bisogno di suscitare nella propria cerchia approvazione e ammirazione.

Chiara Sorgato, Creature di palude, 2014, olio su tela, 100×150 cm.

Domofobia
s.f. [comp. di lat. domus «casa» e gr. φόβος (phóbos) «panico, paura»]

Grave disturbo psichico che affligge determinati soggetti, incapaci di vivere all’interno delle mura domestiche, potendo questi soltanto soggiornare in ambienti estranei quali hotel, ostelli, con una particolare predilezione per i motel, alienanti e scevri da qualsiasi percezione stanziale.

Le cause della domofobia non sono ancora del tutto note; sembra sia il risultato di una esperienza traumatica vissuta nell’infanzia.

Il ricordo del tepore domestico provoca nel soggetto intaccato un’ansia irrefrenabile, così egli evita accuratamente oggetti e situazioni che possano ricondurlo entro le detestate mura. A scatenare la paura possono essere piccoli elementi, come ad esempio le chiavi di casa, la residenza anagrafica e altri indizi abitativi la cui presenza può indurre sintomi particolarmente seri, a seconda della gravità della malattia, ampiamente variabile da persona a persona.
All’affiorare delle trame familiari, infatti, la mente del soggetto è pervasa da un insostenibile senso di oppressione che, nei casi più estremi, comporta il manifestarsi di sintomi fisici e attacchi di panico in piena regola, con sudorazione fredda, aumento della frequenza cardiaca, nausea e senso di soffocamento. Da qui la necessità della fuga, dell’allontanamento, alla disperata ricerca di ambienti sempre più anonimi, fungibili, transitori, in cui ogni identità si dissolve in un oblio perenne.

Luca Cecioni, Full room vision, 2018, acrilico su tavola, 46×42 cm; Put your fears to rest, 2016, olio su tela, 110×90 cm; Inside, 2015, olio su tavola, 48×47 cm; Be at your best, 2017, olio su tela, 30×30 cm; Interference, 2011, olio su tela, 70×50 cm; Basic improvements, 2016, olio su tavola, 92,2×64,8 cm; It’s not how long you sleep, but how well, 2017, olio su tela, 30×30 cm; The perfect armchair, 2019, acrilico su tela, 40×40 cm; We are in a swamp, 2015, olio su tela, 50×40 cm

Floriemetismo

In Patologia, tendenza a rigettare profluvi floreali dal cavo orale, successiva a una manifestazione della Sindrome di Stendhal registrata al cospetto di opere d’arte Rococò. Tale somatizzazione dell’effetto estetico generato dai capricciosi florilegi del frivolo stile settecentesco è spesso associata a fenomeni di forte emicrania e transitoria dislalia.

Kako Ueda, Rococo Rondo, 2021, ritagli di carta, collage e acrilico, 21,5×33 cm
©2021 Kako Ueda

Osteofilia
s. f. [comp. di osteo– e –filia; dal gr. ὀστέον «osso» e ϕιλία «amore, amicizia».]

1. Atteggiamento di amore e di eccessiva protezione per le ossa. 2. In Psicopatologia indica l’eccentrico bisogno di contatto con ossa o con manufatti che ricordino il tessuto osseo.

L’osteofilia si diffonde nella seconda metà del XIX secolo, in alcune zone rurali del nord della Francia. Tuttavia è nel 1935 che alcuni studi mirati ne ufficializzano l’entrata tra le patologie umane, grazie alle ricerche di Michel Pierre Bernard (Le Havre, 3 maggio 1896 – Amiens, 2 gennaio 1974), controverso medico e chirurgo, conosciuto più per la fitta corrispondenza con Sigmund Freud che per le sue scoperte.

Bernard identifica un soggetto affetto da osteofilia con tre comportamenti base:
1) la necessità di avere un contatto tra la pelle nuda dell’individuo e qualsiasi osso ben ripulito dai residui organici;
2) l’assunzione di posizioni fetali, dove l’individuo è schiacciato o ricoperto dalle ossa, rievocando così il grembo materno e causando un senso di rilassamento che può portare persino al sonno profondo;
3) il circondarsi o adornarsi di soli elementi bianchi (pittura corporea, bende, arredamento, ecc.), per ribadire il legame con il bianco delle ossa.

Oltre a questi tre comportamenti, che in genere non compromettono il normale svolgersi della vita di un individuo, Bernard ne individua altri più estremi nei soggetti emarginati, come l’attrazione sessuale e la personificazione schizofrenica.
È recente il dibattito per rimuovere l’osteofilia dalle materie scientifiche, non convincendo del tutto l’approccio delle ricerche di Bernard.

In rete è possibile trovare diverse comunità di osteofili.

Daniele Cascone, The weight of forgotten bones #4, 2021, stampa giclée fine art a pigmento, 122,5×105 cm.

Salieripatia
Malattia di Salieri, che odiò smisuratamente l’inarrivabile Mozart. Il termine, comparso nel dibattito tra melomani già ai primi del 1800, descrive la deflagrante invidia per il talento altrui che colpisce il pianista consapevole della propria mediocrità e il conseguente abbandono volontario dello strumento musicale. Casi di salieripatia cominciarono a verificarsi dapprima in Europa centrale e più tardi anche in Italia: pianoforti lasciati a marcire, allontanati dalla vista poichè simboli di quel fallimento che corrode l’anima.

Nicola Bertellotti, Salieripatia I-VI, fotografia digitale.

Tassofobia
Gr. τάξιϚ (tàxis), “ordine” e φόβος (phóbos), “paura”.

La tassofobia è una specifica psicopatologia che comporta una violenta negazione della categorizzazione biologica classica.
Dove infatti per tassonomia si intende, in ambito scientifico, la classificazione di gruppi di organismi biologici in base a caratteristiche condivise, il paziente affetto dal disturbo tassofobico tenderà a comportamenti mimetici per assomigliare di volta in volta a organismi appartenenti a altre classi animali o vegetali (da cui la dicitura “taxamorfosi” con cui tale fobia è anche nota). Confondendo l’ordine propriamente riconosciuto delle cose, perciò, l’infermo tenderà a non fare alcuna distinzione fra animato o inanimato, maschile o femminile, vivo o morto, minerale o animale.
In stadi avanzati della malattia si può osservare il tentativo di creare un mondo in cui questi elementi sono fusi insieme o assumono di volta in volta ruoli diversi, fino ad arrivare alla tendenza da parte del paziente/creatore stesso a trasfigurarsi in animale, scarpa o tazzina.
La psicopatologia in questione è sempre più diffusa e aumentano le manifestazioni acute.

Laverve, illustrazioni da Il Feticista, 2019 (Bakemono Lab), china e colorazione digitale.

Alchimia dell’etere contemporaneo

Cibo sterilizzato

Pietanza igienizzata, concepita nel 2022 dall’artista e chef Hiroomi Ito per i giapponesi affetti da misofobia.
Il numero delle persone che vivono perennemente nella persecutoria paura di essere contaminate dai batteri è in costante crescita e nel 2022 sono stati registrati cento milioni di misofobi in Giappone – paese presso cui vige la credenza che lo stomaco umano sia ricettacolo di cento milioni di batteri e in cui da anni ormai è in uso il battericida. Tra le loro ossessioni, quella di non essere sfiorati da altri esseri umani, visti come batteri; sanificare le maniglie delle porte dai germi adesi e considerare sporco, disgustoso e immangiabile il cibo trattato a mani nude.

Tuttavia, è nella natura dei giapponesi l’ossessione per i cibi crudi, in particolare il sashimi di pesce, e l’impossibilità a rinunciarvi. Da qui, la messa a punto del cibo sterilizzato, di cui si certifica un tasso di sterilizzazione del 99,99%.

Si tratta in realtà non di un’effettiva operazione biochimica, quanto mentale, ovvero la concezione e instillazione del Kūki sterilizzato – Kūki (in giapponese”空気, ad litteram “aria”) è da intendersi come spirito del tempo e del mondo, andamento superiore delle cose, da percepire e con cui sintonizzarsi. Pilotare la credenza nel Kūki verso una versione dello stesso quasi del tutto sterilizzata sarà certamente di aiuto per i misofobi e, senza dubbio, nelle ironiche parole di Hirooomi Ito, “quando il Kūki in futuro cambierà completamente e si trasformerà effettivamente nel ‘Kūki del cibo sterilizzato’ sarà un serio problema, la mia famiglia in Giappone sarà in pericolo.
In quel momento devo essere preparato alla morte della mia famiglia”.

Hiroomi Ito, Donburi de mariscos esterilizado, 2020, nihonga (incisione, pigmenti e acrilico su carta washi su tavola), 40×40 cm.

Creatura arancione

La Creatura Arancione è la sola abitante del Pianeta dell’Atmosfera Blu, di cui non si conosce l’attuale nuova localizzazione nell’Universo né se esista ancora. L’unica testimonianza di una sua (forse passata) esistenza, infatti, è costituita da un filmato realizzato in un periodo non ancora datato ma che documenta l’aspetto della Creatura e le sue interazioni col Pianeta e con l’unica fonte di illuminazione: la Luna.
Si ipotizza che il grande orecchio della Creatura serva a captare suoni molto sottili provenienti da aree galattiche sconosciute, così come i suoni generati dalle radiazioni lunari, probabilmente suo nutrimento intoccabile. Secondo le supposizioni, non sono necessari occhi su questo Pianeta – l’ambiente invita all’introspezione e allo sviluppo dei vari sentimenti che nascono dalla relazione tra il Pianeta e la Creatura stessi.
Si dice che l’atteggiamento introspettivo e le descritte circostanze ambientali, col passare del tempo, potrebbero avere un’influenza sul corpo fisico della Creatura.

Sonia Dumitrescu, The orange creature, 2019, videoperformance (materiali: maschera in resina, acrilico e pittura per il corpo), 7’10” in loop.


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